IL SALVATAGGIO DELLE BANCHE PUÒ GENERARE PROFITTI?

Andrew Lawford, News, ricercaLeave a Comment

Viene qui pubblicato l’articolo di approfondimento di Andrew Lawford presente nell’Osservatorio sui dati economici italiani; in questo articolo Andrew affronta il tema dei salvataggi bancari e la possibilità che questi si traducano in un profitto per lo Stato che li compie.

Un tema sicuramente attuale visto le recenti condizioni del nostro sistema bancario, che richiama subito l’operato del Governo su Monte Paschi, su Banca di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, ma anche al comportamento verso le quattro banche fallite e altre ancora di minore dimensione.

Le conclusioni a cui giunge Andrew Lawford è che il profittevole salvataggio di una banca dipende molto dalle condizioni della banca stessa e quindi si dovrebbero favorire i casi virtuosi, disincentivando l’azzardo morale. Al tempo stesso i risparmiatori, dovrebbero essere incentivati a distinguere tra le banche buone e quelle cattive, per evitare di cadere nella trappola di considerare al sicuro tutti gli investimenti.

Ricordiamo che il XXVI numero dal titolo Italia 1 trim 2017: Pil, debito & Co. è stato pubblicato il 25 maggio scorso ed è liberamente scaricabile in formato Pdf cliccando qui.

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In questi giorni di continue discussioni sul salvataggio, da parte dello Stato, di Monte dei Paschi di Siena, che a quanto pare costerà molto di più rispetto all’ipotesi iniziale di 5 miliardi €, è lecito domandarsi se un salvataggio possa avere un ritorno economico positivo per lo Stato. Lo indagheremo in questo articolo, assumendo che le regole europee non esistano e che ogni Stato possa intervenire nel sistema bancario come meglio crede.

 

Un esempio recentissimo di salvataggio concluso favorevolmente per le casse dello Stato è quello di Lloyds Banking Group nel Regno Unito. Prima della crisi, Lloyds era considerata una banca solida, anzi, quasi noiosa, caratterizzata dalla gestione prudente di Sir Brian Pitman, uno dei banchieri inglesi più stimati degli anni ‘80 e ‘90. L’impostazione della Lloyds non era cambiata prima della crisi, ma l’occasione di acquistare la concorrente HBOS nel 2008, in parte spinta dal desiderio del governo di evitare il fallimento di quest’ultima, aveva provocato velocemente una crisi per il nuovo gruppo Lloyds HBOS che poi avrebbe necessitato un salvataggio di 20 miliardi di sterline. A distanza di 9 anni, il governo del Regno Unito ha annunciato in questi giorni di aver perfezionato la vendita delle ultime azioni Lloyds, realizzando una plusvalenza di 900 milioni di sterline sull’intera operazione. Ovviamente non è che l’entità del ritorno in sé (4,5% di ritorno nominale in 9 anni) possa far pensare che i salvataggi diventino una fonte di ricavi per lo Stato, ma è curioso considerare se, in linea di principio, sia possibile eseguire dei salvataggi che non gravino troppo sui conti dello Stato.

 

Il problema è che non tutte le banche salvate si trovano esattamente nelle medesime condizioni e non tutti i management delle banche sono uguali. L’altro esempio emblematico della crisi bancaria nel Regno Unito è quello di RBS, che dopo aver orchestrato l’OPA su ABN AMRO nel 2007 (che l’ha resa, per un brevissimo periodo, la banca più grande al mondo) si è trovata in grandissima difficoltà, con il risultato che lo Stato ne è ancora azionista al 72%, una partecipazione che oggi ha un valore di mercato intorno ai 22 miliardi di sterline. Se lo Stato dovesse realizzare l’intero investimento in RBS ai prezzi attuali, ci rimetterebbe una cifra notevole, considerando che il salvataggio ha avuto un costo finora che si avvicina ai 50 miliardi di sterline. È da specificare che RBS non registra un utile netto dal 2007 e che le perdite accumulate negli ultimi 9 anni si avvicinano ai 60 miliardi di sterline. In questo caso, la strada per rientrare in pareggio con il costo del salvataggio pare ancora molto lunga (nonché in forte salita).

 

In un certo senso è possibile paragonare l’intervento del Regno Unito per favorire l’acquisizione di HBOS da parte di Lloyds all’interessamento del governo italiano nel favorire un acquirente italiano di Antonveneta; in entrambi i casi una due diligence fatta con rigore avrebbe sconsigliato gli acquisti (o perlomeno abbassato i prezzi di acquisto). Inoltre, non è neanche vero che non si trovino delle soluzioni private per una banca che rischia seriamente il dissesto. Si pensi, ad esempio, al caso di Unicredit, una banca che capitalizzava 75 miliardi di euro nel 2007, e dopo 10 anni e quasi 30 miliardi di aumenti di capitale oggi capitalizza circa 37 miliardi. Certamente si può dire che la banca ha bruciato tanto valore, ma evidentemente il suo valore per il sistema è stato sufficiente ad attirare nuovi investitori disposti a supportarla, senza l’investimento dello Stato.

 

La lezione è che se la banca è abbastanza importante, la soluzione privata si riesce a trovare; in caso contrario, la soluzione statale non sarà, tranne in rari casi, sufficiente per evitare un certo azzardo morale, che dovrebbe essere sempre il nemico del sistema. Questo azzardo morale consiste non solo nel fatto di far pagare alla collettività gli errori di una banca mal gestita, ma anche nel fatto di creare un ambiente di concorrenza sleale a chi cerca di gestire la propria impresa bancaria con un criterio di prudenza. Alla fine, dove sta la giustizia nel salvare coloro che non hanno saputo gestire i rischi insiti nella loro impresa?

 

La sfida rimane quella di trovare il modo per innescare dei comportamenti virtuosi da parte delle banche, che significa incentivare una sana, prudente gestione. Questo non significa che non ci sia spazio per gli operatori spericolati; significa solo che chi vuole rischiare di più (presumibilmente per guadagnare di più) dovrà essere molto più bravo nella gestione del rischio e dovranno pagarne le conseguenze qualora non dovesse funzionare come auspicato. Anche i risparmiatori, al netto di una giusta protezione per i depositi di piccole dimensioni, dovrebbero essere incentivati a distinguere tra le banche buone e quelle cattive, per evitare anche loro di cadere nella trappola di considerare al sicuro tutti gli investimenti nel sistema bancario del Paese. Favorire i flussi dei risparmiatori verso le banche più virtuose non è altro che premiare chi lavora bene, e dare un incentivo all’intero sistema nel migliorarsi.

Nota finale: gli studi che stanno dietro a questo articolo di Andrew Lawford hanno permesso l’individuazione di banche sane che hanno resistito bene alla crisi e che creano valore ai propri azionisti. Il risultato è che alcune di queste vengono inserite nei portafogli in consulenza che vengono realizzati da ABS Consulting SCF.

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